Home » Iran delle Meraviglie 1-10 maggio 2015 – Parte 3°
Isfahan, 6 maggio
Così parlo Zarathustra. Il titolo del trattato di Friedrich Nietzsche (poi messo in musica da Richard Strauss) risuona durante la visita del tempio zoroastriano di Yazd. Iran significa “terra degli ariani”: che l’attenzione culturale tedesca si rivolgesse lì, era inevitabile. Nella precedente puntata abbiamo già sottolineato i parallelismi tra le architetture di Persepolis e quelle del Terzo Reich; ora, sul tempio vediamo campeggiare lo stemma dei seguaci di Ahura Mazda: veramente, gli manca soltanto la svastica, che del resto è anch’essa di queste parti. Simile suggestione tende a sovrastare la contemplazione del fuoco eterno degli zoroastriani, che secondo tradizione arde ininterrottamente da qualcosa come milletrecento anni: da far impallidire il fuoco di Vesta di romana (e fascista) memoria…
Dal caldo del fuoco al freddo del ghiaccio, in questo paese che alterna ed incrocia le emozioni più intense e diverse. Ad Abarkuh, proprio fuori Yazd, quella che sembra l’ennesima piccola moschea è in realtà… una ghiacciaia. La massa di ghiaccio si staglia biancastra nella penombra del fondo della costruzione, a ricordare le tecniche usate un tempo per mantenere fresco e freddo, troppo in fretta spazzata via dalla tecnologia. Mentre in gruppo va in cerca dei soliti – poco puliti – servizi, tre ragazzi giocherellano intorno a una moto. Per me è un attimo saltarci sopra per la foto ricordo con i ragazzi stessi. Uno di loro, per tutta risposta, mi gira la chiave: pronto il mio colpo di pedale (da queste parti, niente avviamento elettrico), ed echeggia il piccolo rombo di una delle tante Honda 125 che scheggiano pericolosamente in mezzo al pazzo traffico locale. Ospitalità e sorriso, in un popolo d’Oriente che sempre ti chiama perché tu faccia la foto insieme ai suoi bambini.
“Caravanserraglio” è una di quelle parole che suonano bene e fanno un po’ ridere. Merito forse di Renato Carosone, e del fatto che nessuno sappia bene di che cosa si tratti. Poi si pensa agli autogrill, ed è tutto più chiaro: nei caravanserragli si sostava al termine di un giorno di viaggio. Nel quadro di un preciso piano statale tracciato durante la dinastia Safavide (secc. XVII e XVII), ve n’era uno ogni sessanta chilometri, autonomia massima dei cammelli. E in uno dei meglio conservati ci imbattiamo una sessantina di chilometri a est di Yazd: splendido mix di suggestioni storiche e geografiche. Oggi è hotel di lusso per cerimonie on demand; al suo esterno, il casotto del guardiano ha di fianco a sé una gabbia con i polli… Dall’alto dei bastioni, le orde di Gengis Khan sembrano spuntare dalla piccola catena montuosa che troneggia qualche chilometro più in là, mentre sull’altro lato l’autostrada è percorsa da truck che amplificano la somiglianza con le grandi pianure americane. E’ l’eterna magia vuota ed intensa di queste terre sospese tra Asia ed Europa, maestoso palcoscenico di uno show che ha avuto per protagonisti Alessandro e lo stesso Gengis Khan, Tamerlano e Marco Polo.
Poco fuori Yazd, le torri del silenzio erano le tombe degli zoroastriani. Singole costruzioni attorno a una collina fortificata, scelte non a caso di Michael Yamashita per documentare la parte iraniana del viaggio di Marco Polo (la relativa esposizione fotografica è stata di scena al Museo d’Arte Orientale di Torino fino allo scorso mese). I seguaci di Zaratustra lasciavano i cadaveri in pasto agli avvoltoi, finché il governo gliel’ha lasciato fare. Fuori dalla biglietteria, un autobus rosso targato Friburgo che avevamo già notato fuori da nostro hotel. Partito dalla Germania per percorrere la Via della Seta. Intervisto brevemente l’autista: settanta giorni da Friburgo a Pechino, mi dice. Poi chi vuole torna a casa in aereo; gli altri si fanno altri settanta giorni sul bus in direzione opposta… Ma noi lasciamo tale splendida impresa a chi l’ha già iniziata, e puntiamo verso nord in direzione di Isfahan; che ci accoglie la sera come una meravigliosa principessa ormai quasi addormentata. Per parlarvi di lei, ne attendiamo cavallerescamente il risveglio.
Roberto Codebò
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