Home » Iran delle Meraviglie 1-10 maggio 2015 – Parte 4°
Qom, 9 maggio
La principessa chiamata Isfahan si desta il giorno successivo, regalando di sé la bellezza che era stata intravista la sera precedente nella meravigliosa piazza centrale, Naqsh-e Jahan. Cinquecento metri di lunghezza, centosessanta di larghezza, un tema di ornamento a doppio ordine di archi interrotto solo dai monumenti a metà di ciascun lato. Al centro, aiuole e giardini che rappresentano il vero pregio di Isfahan, l’antica capitale, vera perla turistica dell’Iran. La quale gode di un privilegio che da queste parti è quantomeno singolare: un fiume di grande portata (il che peraltro non gli impedisce di essere praticamente secco per buona parte dell’anno), il quale dona a questo territorio un verdeggiare che sovrasta i pur volonterosi e gradevoli tentativi in tal senso compiuti nelle altre parti del Paese.
Sulle due rive dello Zayandeh – questo il nome del fiume – interminabili passeggiate fra le consuete aiuole tracciate e coltivte con cura. La sensazione fortemente europea è implementata da un formidabile acquazzone che di colpo colora la scena di tinte tutte irlandesi; ma il giorno dopo, tornato il sole, scorgiamo le prime famiglie che trascorrono il venerdì (la domenica locale) godendosi un picnic, usanza che non risparmia neppure Naqsh-e Jahan. E qui di europeo c’è molto poco: difficile immaginare che i parigini facciano un pique-nique nei giardini di Versailles… Tornando al fiume, men che mai europei sono i suoi celeberrimi ponti, dal tema architettonico anch’esso a suon degli inconfondibii archi locali. La gente del posto vi passeggia a frotte, specialmente il venerdì: l’arrivo del gruppo di visitatori stranieri è sempre salutato da calorosi gesti di benvenuto, più intensi delle inevitabili molestie dei venditori; e ulteriormente intensificati dai gesti di ospitalità di chi fa i picnic, che mentre ti saluta ti offre con un gesto una tazza di the…
L’urbanistica di stampo europeo, come sempre, non regge a un giro un po’ più ampio per la città. L’avveniristico parcheggio sotterraneo per pullman realizzato per alimentare il turismo nella zona centrale sorge già un po’ troppo discosto da essa; per raggiungerlo, obbligatorio uscire dalla piazza centrale e transitare nel più tradizionale caos locale: il mélange multicolore della merce di ogni tipo fuori dai negozi è sfiorato dagli spericolati motociclisti, che con le solite Honda 125 quattro tempi sfidano la mole dei bus e le regole del codice stradale (del resto poco amate anche dagli automobilisti). Coacervo inconfondibile di colori, rumori e odori, cui sempre fa da contrasto la quiete maestosa dell’architettura islamica monumentale. Nel Palazzo delle Quaranta Colonne, la sala dei ricevimenti è istoriata con le gesta dei sovrani safavidi: tra le tante scene, alcune ricordano il profondo legame della Persia con l’India; il che più che mai tocca l’animo e l’immaginazione del vostro cronista-viaggiatore, il quale lancia verso est uno sguardo commosso vecchio di quindici anni…
Di armeni quest’anno si è parlato molto, dopo le polemiche per le l’utilizzo, da parte del papa, del termine “genocidio” a proposito del massacro degli armeni stessi ad opera dei turchi, perpetrato cent’anni esatti fa. Immaginate l’effetto che può fare il parlare di questi fatti in quel di Julfa, il quartiere in cui sorgeva la più grande comunità armena dell’Iran. Tutto ruota attorno alla chiesa di San Giuseppe di Arimatea, dove lo stile tipico si può apprezzare ben più che nella stessa madrepatria, dove – ci dicono – il periodo sovietico ha lasciato ferite non rimarginabili. Al genocidio spetta una fetta piccola ma significativa dell’annesso museo, ma ancor maggiore impressione destano le decine e decine di disegni di bambini delle elementari affisse sul lato interno del muro di cinta: iconostasi ingenue ma convinte della tragedia di un popolo la cui storia recente – e non recente – ricorda così tanto quella degli ebrei; e che, senza pur mai poter essere nota e celebrata come quest’ultima, ha quest’anno echeggiato così nettamente nelle cronache per via delle diatribe tra Istanbul e il Vaticano.
Da Isfahan, l’autostrada ci riporta verso nord. Tre corsie per ogni senso di marcia, caselli di pedaggio e autogrill: la poesia viene meno quando si entra nell’area segnalata – per l’appunto – come area di servizio. Un basso fabbricato in mezzo al piazzale contiene i bagni, e anche un bel po’ di insetti che pattugliano a volo radente… The e biscotti offerti dal nostro autista alleviano il disagio, preconizzando ulteriori soste dello stesso tipo (ma l’ultimo autogrill riscatterà poi tutti gli altri). Kashan è una ex oasi, oggi città di medie dimensioni: per noi è più che altro sosta per il pranzo, sulla via di Qom.
Attesissimo epilogo del nostro tour, la roccaforte degli ayatollah si presenta subito come la città più conservatrice dell’Iran. Il chador qui la fa ancora da padrone, alle turiste solo da poco tempo non viene imposto. Aria di nuovo anche da queste parti, insomma; la macchia gialla dei taxi attorno alla stazione ferroviaria rompe il ruscello nero delle donne che affollano la via centrale. Poco più in là, troneggia il gioiello di Qom e forse di tutto l’Iran: il mausoleo di Fatima (non la moglie di Maometto, ma la sorella dell’Ottavo Santo degli sciiti). Decisamente, la burocrazia locale non si è ancora adattata alle recenti aperture al turismo di questa roccaforte dei mullah: uno di essi “invita” due di noi nel suo ufficio per una chiacchierata dottrinale, mentre il gruppo viene costretto a fare un giro assurdo prima che lo staff si metta d’accordo circa l’entrata consentita. All’uscita, il breve tragitto verso l’hotel luccica di una sera limpida. Le possenti luci del complesso monumentale battono sull’antistante bazar, illuminando l’eterno show di colori, sapori odori di oriente. E’ il saluto della Persia, che ci bacia idealmente coi suoi sensuali e velati sorrisi.
Roberto Codebò
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