Il Capodanno in Macedonia Easy Nite è appena terminato…un viaggio straordinario tra neve, moschee e panorami da cartolina. Roberto Codebò, instancabile compagno di viaggio, ci racconta la sua esperienza e il suo punto di vista dopo aver vissuto a pieno questo Paese meraviglioso.
Skopje (Macedonia), 31 dicembre
“La nomino capogruppo”. Per quanto si sforzi, il vostro cronista-viaggiatore non riesce proprio a passare inosservato. E così, al checkin di Caselle, si becca questa investitura dallo steward, il qual ignora che un capogruppo esiste già. Lo stesso dell’Iran, vale a dire del precedente ciclo di Globetrotter, prima di un semestre sabbatico un po’ abbondante – sette mesi e mezzo, per la precisione – che al cronista-viaggiatore di cui sopra devono proprio essere sembrati un’eternità…
Non capita spesso di sentire freddo ai piedi mentre si visita…una moschea. Nella maggior parte dei casi, si tratta anzi di un’occasione per approfittare di una gradevole tregua dalla calura esterna. Non così in Macedonia d’inverno: temperature abbondantemente sotto lo zero di notte, di giorno poco più. Così, i minareti che punteggiano l’abitato nel segno di una presenza islamica tendenzialmente preponderante pungono un cielo terso e gelido. Proprio sotto la moschea che abbiamo appena visitato, un bar espone le insegne di una sfilza di squadre di calcio: a fianco dei maggiori club europei, quattro squadre turche in bella fila. Perché da queste parti i turchi sono gli ex dominatori e, come quasi tutti gli ex dominatori, sono tornati in auge dopo la fine della Guerra Fredda (e soprattutto della ex Jugoslavia). Così, mentre i macedoni litigano coi greci sul marchio registrato “Macedonia”, da Ankara si colonizza economicamente e… calcisticamente. All’interno del bar, una coltre irrespirabile celebra il concetto di cui sopra all’insegna dell’antico adagio “fumare come un turco”.
Macedone, inglese e…? Per qualche minuto, avevo esitato a riconoscere la terza lingua delle indicazioni aeroportuali. La quale – scusate l’esitazione – non poteva essere che l’albanese. Sarà utile ricordare che l’espressione “Macedonia di frutta” nasce da un paragone tra i molti frutti mescolati nella coppetta e le molte etnie mescolate in un Paese piccolo, ma così fedele al plurisecolare pasticcio balcanico. Nelle viuzze della città vecchia, molte insegne e cartelli sono addirittura soltanto in albanese: il commercio è in mano ai seguaci di Tirana, maggioritari nel vicinissimo Kosovo e piuttosto influenti anche qui. Ai margini della città vecchia, troneggia così una statua di Giorgio Castriota in arte Skanderbeg, del quale vi dovremo dar ampiamente conto in prosieguo di reportage. Anche perché il gioco delle numerose statue di Skopje, lungo un crescendo solo apparentemente studiato, mena verso il supremo acuto della storia macedone e non solo.
Alessandro. Di solito lo chiamano “Magno”, epiteto che suona benissimo nelle lingue slave, dove grandezza fisica e grandezza morale si scindono in due distinti aggettivi. Tanto per celebrale entrambe, il monumento della piazza centrale di Skopje ha dimensioni a dir poco gigantesche: per guardarlo bene, bisogna spostarsi fin verso il ponte sul fiume Vardar, l’Axios dell’Ellade. Grande la statua, grande Alessandro ma… il detto nemo propheta in patria non aveva risparmiato neanche lui. Quando qui era Jugoslavia, statue così erano riservate a Tito, complice il fatto – ad onta del detto di cui sopra – che la città natale di Alessandro si trovi attualmente in territorio greco. Cose che capitano, in questi Balcani in cui ogni popolo è più grande del relativo stato, e ogni stato contiene più di un popolo… Tutto cambiò quando la Macedonia indipendente dovette dotarsi di un mito nazionale. In certi casi, non c’è detto che tenga.
Miti del genere, però, vanno doverosamente sostenuti da un robusto supporto archeologico. Alla periferia della città, si fa quel si può per scoperchiare le vestigia dell’insediamento antico, mentre le colline del Kosovo si stagliano in lontananza a mescolare echi di guerre antiche e guerre recenti. Poco più in là, l’acquedotto romano curva spettacolarmente a sinistra in mezzo a una vergona di discariche abusive. Scene da Calcutta, città tanto cara a un premio nobel per la pace nato – anzi, nata – proprio qui. Ma questa, perdonateci per ora, è un’altra Skopje…
Roberto Codebò
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