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Albania: il Paese delle aquile, nuova puntata di un flirt
Tirana, 30 marzo
Da Budva, l’ingresso in Albania avviene in quella che è tradizionalmente considerata una delle zone più povere del Paese. Strana precisazione, per un’Albania che nel 1984 era il terzo Stato più povero al mondo… Mentre il bellissimo lago di Scutari occhieggia in lontananza, l’omonima città offre casomai uno spaccato fedele dell’Albania attuale. Dove un cane randagio è libero di sonnecchiare ai piedi dell’ennesima Mercedes, e dove le auto di lusso – per l’appunto – sono giunte assai più rapidamente rispetto a strade adeguate. Così, il nostro itinerario verso Durazzo conosce ogni tipo d’ingorgo, tra SUV e carretti a cavalli, e tra strade a quattro corsie e asfalto tipo groviera.
La Rimini dell’Albania. Etichetta forse troppo semplicistica ma molto efficace, per il principale porto albanese. Durazzo ha conosciuto un vorticoso sviluppo – per così dire – sia orizzontale sia verticale: per un verso, si è praticamente congiunta con Tirana; per l’altro verso, la linea delle sue spiagge s’è molto allungata in qua e in là. Il nostro hotel, situato per l’appunto a venti metri dal mare, offre un classico esempio della difficoltà delle persone a tenere il passo del nuovo. In una struttura moderna e confortevole, la mollezza di un antico misero assistenzialismo rallenta ritmi ed efficienza (ma non mai la cortesia): così, sulle tavole sembrano talora rifare capolino le scarne mense di un tempo. Nella piazza centrale della città, un riassunto di tutte le puntate precedenti: a due passi dal teatro romano sfilano le mura veneziane, una moschea, il municipio in stile fascista e un porticato socialista. Per chi sa leggere la storia nei luoghi, veramente un mosaico di raro pregio…
Berat, e non Perat. Qualche volta, il vostro cronista viaggiatore cade in qualche equivoco storico-geografico. Perat(i) è un villaggio situato presso il confine con la Grecia, reso famoso in Italia da un canto degli Alpini. Noi invece ci troviamo a Berat, centro-sud dell’Albania, dominata da un castello e dalle case bianche patrimonio dell’Unesco. Una guida molto appassionata ci racconta la storia delle icone e dei documenti locali, mentre sembra di vedere ancora i turchi entrare e uscire dalla porta principale della maestosa fortificazione. Ai piedi della quale li fiume e la vita scorrono con la lentezza di una provincia che – come sempre – marcia più lentamente della metropoli. Sulla strada verso Elbasan, i vari fiumi che incontriamo sono lordati dall’immancabile sporcizia. La macchia biancastra dei sacchetti di plastica abbandonati è così fitta da sembrare a volte uno stormo di uccelli acquatici. Ci vorrà tempo, però, perché anche uno stormo del genere prenda finalmente il volo.
“Albanian Orbit Docking” (docking in orbita albanese). C’è poco da fare: nella grande passione del vostro cronista-viaggiatore la logistica gioca sempre un ruolo di primo piano. A Elbasan, previsto l’abbandono di gruppo e pullman: un’auto appositamente giunta da Tirana mi attende per portami verso la Capitale. Il rapido trasbordo trasuda efficienza nonché commozione: abbandonare i compagni di viaggio costa sempre qualche lacrimuccia… Operazione tutta orchestrata in proprio, e scherzosamente etichettata con quel termine mutuato dal docking in orbita lunare delle missioni Apollo. Sennò non ci si divertirerebbe, il che nella vita è sempre essenziale.
“Per noi albanesi l’italiano è seconda lingua…”. Il commesso della libreria di piazza Skanderbeg, la piazza centrale di Tirana, recita una litania che da queste parti è sacra. Nella pizzeria dietro l’angolo, Domenico Modugno dà il cambio a Claudio Baglioni nella colonna sonora, mentre i camerieri duettano a base di Milan e di Inter e Anna Oxa – che del resto ha avi da queste parti – è sempre pronta a dire la sua. Molto abbiamo scritto di Albania e albanesi nei nostri recenti reportage; e chi ci ha seguiti sa che tutto ciò è molto lontano da quell’italianità plastificata e falsamente luccicante a scopo di lucro.
Sull’altro lato della piazza e proprio accanto al nostro hotel, il Museo Nazionale Albanese saluta i visitatori con un gigantesco mosaico che troneggia sull’ingresso. Ai suoi lati, turchi e romani; al centro, operai e contadini con stella rossa e pugno chiuso. Chissà quale effetto doveva fare simile arte nei primi anni Ottanta, con un chilo di pane alla settimana per una famiglia di quattro persone e poco più di mille automobili in tutta l’Albania. All’interno del museo, rimasto fermo a quei tempi, grandi glorie ovviamente per i partigiani; i fascisti sono trattati male ma neanche troppo. Il flirt italo-albanese, in fondo, ha resistito anche nei momenti di crisi.
Roberto Codebò
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