Sono appena tornato dall’Indocina…quante suggestioni evocano questi luoghi così lontani eppure così presenti nella memoria di quelli che, come me, erano giovani negli anni ’60!
La prima tappa è stata Hanoi, città formicolante di vita, con i suoi palazzi in stile francese, retaggio della passata colonizzazione transalpina, il mausoleo di Ho Chi Minh, i parchi e i centinaia di migliaia di scooter che invadono le sue strade, i suoi marciapiedi e ogni spazio disponibile. Poi via, verso la Baia di Ha Long, tra risaie, cittadine rurali, anatre e bufali.
Ha Long, vera meraviglia della natura, è un arcipelago di circa 2000 isolette situato nel Golfo del Tonchino, tristemente famoso per essere stato il luogo d’inizio della guerra tra gli Stati Uniti e il Vietnam. Su di una “giunca” abbiamo esplorato alcune tra le centinaia di isolette, tra villaggi di pescatori, grotte carsiche e bizzarrìe create in migliaia di anni dall’erosione combinata di mare e aria, godendo del privilegio di poter essere protagonisti di codesta bellezza.
Dopo esser stata la natura protagonista, ecco le meraviglie costruite dall’uomo: Da Nang, coi suoi templi costruiti sulla montagna di marmo, a Huè, capitale imperiale, con la sua Città Proibita che ricalca quella di Pechino, a Ho Chi Minh Ville, l’antica Saigon, ormai proiettata verso il futuro, vetrina “americanizzata” di un Vietnam che ha lasciato alle spalle decenni di guerre per diventare sempre di più una potenza economica.
Lasciata l’ex capitale siamo partiti alla scoperta del delta del Mekong, arteria fluviale di vitale importanza per i paesi dell’area; ed ecco il Vietnam delle cartoline, risaie a perdita d’occhio, contadini intenti a lavorare una terra generosa che dà fino a tre raccolti l’anno, appezzamenti di terra strappati all’acqua onnipresente adibiti ad orti domestici che producono ogni ben di Dio di verdure; e ancora bufali d’acqua che, grazie alla loro forza, aiutano l’uomo a dissodare la terra, allevamenti intensivi di pesci e gamberi d’acqua dolce, di anatre, pollame e suini e bimbi, tanti bimbi…
Lasciato il Vietnam, in battello, abbiamo proseguito per Phnom Penh, la capitale della Cambogia.
Paese straordinario sede di un’antichissima civiltà, quella Khmer, la Khampuchea (“Il paese d’oro” in cambogiano) odierna esce da un incubo chiamato Pol Pot, ideatore di un’ideologia di auto-genocidio unica tra le atrocità del XX° secolo. La sua capitale, abbandonata e quasi totalmente distrutta in quegli anni, ci accoglie con grattacieli moderni, hotel scintillanti e palazzi rimessi a nuovo, come quello Reale, meraviglioso esempio di Arte Khmer, oasi di pace e serenità, in una città che ha fretta di dimenticare il suo triste passato. E poi via, verso il gioiello della Cambogia: Angkor Wat, l’antica capitale di un Impero che andava dall’odierna Birmania, alla penisola malese, dal Laos all’odierno Vietnam.
Lungo la strada, scene di vita quotidiana, così lontane da quelle di cui siamo abituati,da lasciare senza fiato: dal mercato, che vende quasi esclusivamente insetti cucinati, ai villaggi costruiti su palafitte, dove la vita quotidiana si svolge in simbiosi con l’acqua, dal momento della nascita a quello della morte, a distese infinite di risaie punteggiate qua e là da casupole e templi.
La porta di accesso ad Angkor è la città di Siem Reap, città pulsante di vita, che accoglie ogni anno più di tre milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo.
Pochi kilometri la separano da quella meraviglia che ha il nome di Angkor. Una di quelle città straordinarie che, al pari di Tikal in Guatemala, Macchu Picchu in Perù, Chichen Itzà in Messico, Pompei in Italia e Persepoli in Iran, lasciano attoniti il fortunato visitatore.
Quante domande sorgono alla vista di tanto splendore! La mente cerca disperatamente di ricostruire la città così come doveva essere, coi suoi colori, suoni, abitanti. La maestria dei suoi architetti, dei suoi artigiani, scultori, pittori sembra aleggiare ovunque, in ogni angolo dell’immensa città. Poi l’oblio, la foresta che a poco a poco ha preso possesso delle rovine, sommergendo, soffocando il complesso in un inestricabile groviglio di alberi altissimi e radici gigantesche, cancellando lo splendore di una civiltà un tempo florida. Nell’Ottocento la riscoperta, la lotta quotidiana contro una natura possente che tenta di riprendersi quello che l’uomo cerca di preservare per le generazioni future, la ricostruzione faticosa di templi danneggiati da guerre e abbandono, fino al giorno d’oggi, perla preziosa di un Paese che tenta faticosamente di risalire la china e ritornare a sorridere.
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