Chiunque sia stato in Giappone sa che uno degli aspetti più gratificante del viaggio è mangiare!
Perciò, se doveste scegliere un viaggio in questo magnifico Paese, non limitatevi ai consueti sushi, tempura o sashimi. Infatti, la cucina giapponese (nihon ryōri) vanta centinaia e centinaia di piatti a base di carne, pesce, verdure, cotti in tanti modi diversi e da sapori molto vari, dal dolce al salato, dall’agrodolce al piccante. Potreste trascorrere un intero mese in Giappone provando ogni giorno un piatto diverso!
Scopriamone alcuni!
La cucina kaiseki è il trionfo dell’arte culinaria giapponese, in cui gli ingredienti, la loro preparazione, la disposizione e la presentazione a tavola contribuiscono a dar vita a un’esperienza gastronomica unica. Nato per accompagnare la cerimonia del tè, il pasto kaiseki è essenzialmente vegetariano (spesso è servito del pesce, ma la carne non compare mai sul menù).
Di solito un pasto kaiseki si consuma nella sala privata di un ryōtei (un tipo di ristorante tradizionale particolarmente elegante), che spesso si affaccia su un tranquillo giardino privato. Le piccole porzioni delle numerose portate offrono l’opportunità di ammirare i piatti e le ciotole, scelti con estrema cura in base al cibo e alla stagione. Il riso si consuma per ultimo (di solito con un assortimento di sottaceti) e la bevanda più indicata è il sakè o la birra.
L’unagi è l’anguilla d’acqua dolce, amata in tutto il territorio giapponese e consumata in molti modi diversi. Principalmente è cucinata alla brace e spennellata con una densa salsa a base di shōyu e sakè.
Poiché un pasto intero a base di unagi è costoso, molti ristoranti specializzati preparano gli unagi bentō (pasti confezionati con anguilla come portata principale). Quasi tutti questi locali espongono in vetrina i modellini fatti di plastica dei piatti che compongono i loro pasti a prezzo fisso, e talvolta anche barili pieni di anguille vive per richiamare l’attenzione dei passanti.
Il tonkatsu è una cotoletta di maiale impanata e fritta, servita con una salsa speciale, di solito come portata di un pasto a menu fisso (tonkatsu teishoku).
Il tonkatsu è servito sia dai ristoranti specializzati sia dagli shokudō, ma ovviamente il migliore è quello che si gusta nei primi. Quando si ordina il tonkatsu, si può scegliere fra rōsu (un taglio di maiale piuttosto grasso) e hire (un taglio più magro).
È consuetudine, al termine della giornata di lavoro, concedersi qualche yakitori (spiedini di pollo e verdure alla griglia), che non sono tanto un pasto vero e proprio quanto uno spuntino per accompagnare la birra e il sakè. In uno yakitori-ya (ristorante che serve yakitori) ci si siede gli uni accanto agli altri intorno al bancone e si osserva il cuoco mentre cucina le pietanze scelte sulla brace.
In questo tipo di locali, la cosa migliore è ordinare diversi piatti e poi chiedere una porzione supplementare di quelli che sono piaciuti di più. Le ordinazioni possono causare un po’ di confusione, visto che una portata spesso comprende due o tre spiedini (fate attenzione, perché il prezzo indicato sul menu generalmente si riferisce invece a un solo spiedino).
Di solito i ristoranti di yakitori sono locali piccoli, spesso situati nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie, e si riconoscono da una lanterna rossa appesa all’esterno, oltre che dal profumo di pollo grigliato.
Assai apprezzato in Occidente e molto richiesto dai turisti che visitano il Giappone, il sukiyaki consiste in un assortimento di sottili fette di manzo cotte in un brodo di shōyu, zucchero e sakè, e accompagnato da una varietà di verdure e tofu (tōfu). Dopo la cottura, tutti gli ingredienti vanno intinti nell’uovo crudo, immediatamente prima di essere gustati. Se preparato con manzo di alta qualità, come quello di Kōbe, è un’esperienza sublime.
Lo shabu-shabu è un piatto di sottili fette di manzo e verdure, cotte mescolandole in un brodo leggero e poi intinte in una varietà di speciali salse agrumate con semi di sesamo. Entrambi i piatti si preparano direttamente al tavolo, in una pentola posta su un fornello: non preoccupatevi, il cameriere di solito vi aiuterà a iniziare e vi terrà d’occhio. Il segreto consiste nel procedere con calma: aggiungete gli ingredienti poco alla volta e gustate i sapori.
I ristoranti che servono sukiyaki e shabu-shabu di solito sono arredati in modo tradizionale e talvolta sono identificabili grazie all’immagine di una mucca. Ordinare i piatti non è difficile. Basterà dire sukiyaki o shabu-shabu e indicare il numero di commensali.
I soba (sottili tagliolini di grano saraceno) e gli udon (spessi tagliolini bianchi di farina di frumento) sono la risposta giapponese ai rāmen cinesi. La maggior parte dei locali specializzati prepara sia i soba sia gli udon in molti modi diversi. I tagliolini di solito sono serviti in una ciotola contenente un leggero brodo di pesce (preparato con il katsuo, il tonnetto striato), ma si possono ordinare anche freddi: in tal caso, saranno serviti su un vassoio di bambù, con brodo freddo a parte in cui intingerli (questi si chiamano zaru soba).
Se ordinate gli zaru soba, vi porteranno anche un piattino di wasabi e dei cipollotti affettati, da mescolare nella scodella di brodo, in cui poi vanno intinti i tagliolini. A conclusione del pasto, il cameriere vi servirà del brodo caldo da mescolare alla salsa rimasta, che potrete bere come se fosse tè. Come nel caso dei rāmen, fare rumore mentre si mangia non è sconveniente.
I locali che servono soba e udon sono di solito piuttosto economici, ma alcuni ristoranti più raffinati possono essere notevolmente più costosi (gli arredi danno una buona idea del conto che ci si può attendere a fine pasto).
Benché talora sia descritto come ‘pizza giapponese’ (o ‘pancake’), questo piatto vi somiglia esclusivamente nella forma. In realtà, l’okonomiyaki (letteralmente ‘cucina ciò che vuoi’) è una sorta di ‘frittata’ cucinata su una piastra rovente che consiste in una pastella a base di acqua, farina e uova, cui si aggiungono cavolo sminuzzato e un assortimento a scelta di altri ingredienti.
In un ristorante di okonomiyaki i clienti si siedono intorno a un teppan (piastra di ferro rovente), armati di spatola e bacchette e cucinano da sé la carne, il pesce e le verdure che hanno scelto in questa pastella con cavolo e altre verdure.
In alcuni ristoranti i camerieri servono il piatto già quasi completamente cucinato, lasciando ai clienti il piacere di concludere la cottura sulla piastra e di insaporirlo con katsuo-bushi (fiocchi leggerissimi di tonnetto striato disidratato), shōyu, ao-nori (un ingrediente simile al prezzemolo), una salsa tipo Worcester e maionese.
Nei locali più economici, invece, i camerieri si limitano a servire una ciotola colma dei vari ingredienti e lasciano che siano i clienti a cucinarli. In questo caso, non fatevi prendere dal panico. Per prima cosa, mescolate con cura la pastella e gli altri ingredienti, poi versate il tutto sulla piastra calda, e stendetelo come se fosse una frittella. Dopo cinque minuti circa, usate la spatola per girare l’okonomiyaki e cuocerlo dall’altro lato per altri cinque minuti. Dopo di che, potete mangiare.
E per rimanere in tema di “frittate” non si può non citare il tamagoyaki: una frittata composta da diversi strati arrotolati. Può essere consumata da sola o come complemento ad altre pietanze, in Giappone è considerata un elemento fondamentale del bentō , il tipico portapranzo nipponico ormai popolare anche in Europa, pratico e carino da vedere.
Semplice ma al tempo stesso gustosissima, invece, l’omurice è un’omelette ripiena di riso fritto, irrorata di salsa al pomodoro, curry o sugo di carne.
Uno dei modi migliori per poter apprezzare appieno lo spirito e il senso della cucina giapponese è certamente dato dal Nabemono, tipico piatto unico invernale.
Infatti, questa pietanza è davvero coinvolgente, oltre che essere un simpatico modo per creare una particolare atmosfera. Non per nulla, vede tutti i commensali partecipi alla cottura sul tavolo dove poi si andrà a consumare il Nabemono.
Attorno alla pentola, che potrà essere di ferro o di argilla, vengono, infatti, predisposti alimenti crudi come ad esempio frutti di mare, carni, pesci, verdure e salse.
Considerati lo street food giapponese per eccellenza i takoyaki sono delle gustose polpette (di farina, lievito, dashi e uovo) con all’interno pezzettini di polpo, servite calde, irrorate di salsa takoyaki e maionese e spolverate di fiocchi di bonito (un particolare tipo di pesce) ed alghe.
Si tratta di una pietanza tradizionale di Osaka e del Kensai ma diffusa ed apprezzata in tutto il Giappone.
Tra i dolci più amati – e conosciuti – della gastronomia giapponese ci sono senza dubbio i dorayaki, due pancake tradizionalmente ripieni di anko, ossia la tipica marmellata dolce di fagioli rossi azuki, oppure ad altri gusti, come cioccolato o tè matcha.
Sempre sulla scia dei pancake, i tayaki sono dei carinissimi pancake a forma di pesce, ripieni di gustosa pasta di fagioli rosso (ma è possibile trovarlo in diverse varianti: con crema pasticciera, cioccolato, crema di patate dolci e tante altre). Questo dolce viene spesso consumato per strada.
Altri dolcetti molto popolari sono i mochi, fatti di una pasta di riso glutinoso (che è alla base di molte tipologie di dolcetti giapponesi), gommosi ma saporiti. Tradizionalmente questo tipo di dolci venivano consumati per festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo in abbinamento ad una tazza di tè verde fumante.
Tipici dell’isola di Miyajima (al largo di Hiroshima) i momiji manjû sono dolcetti a forma di foglia di acero giapponese (momiji appunto), anche in questo caso il loro ripieno più tradizionale e diffuso è quello di pasta di fagioli rossi, si trovano però in diverse gustose varianti (cioccolata, tè verde…).
La perfetta conclusione di un pasto, o il complemento ideale per una cerimonia del tè, sono i wagashi, dolcetti tradizionali realizzati con diversi tipi di paste, la mochi e l’anko (di cui vi abbiamo già parlato) ma anche di kanten, di castagne e di zucchero. Coloratissimi e davvero belli da vedere, tanto che risulta quasi un peccato mangiarli!
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