Creuza de mä, pubblicato nel 1984, è l’undicesimo album d’inediti di Fabrizio De André.
È interamente cantato in genovese, per molti secoli una delle principali lingue impiegate nell’ambito della navigazione e degli scambi commerciali nel bacino del Mediterraneo, in particolare dal basso Medioevo al XVII secolo.
L’album comincia proprio con la canzone omonima, che racconta il ritorno a terra dei pescatori che si rintanano nella Taverna di Andrea. Il brano è stato scelto anche come colonna sonora dell’inaugurazione del nuovo Ponte Morandi.
La locuzione ligure crêuza de ma, nel genovesato, definisce un viottolo o mulattiera, talvolta a scalinata. Nello specifico quei viottoli che abitualmente delimitano i confini di proprietà e porta (come tutte le strade in Liguria) dall’interno verso il mare.
Già dal titolo si fa riferimento a una linea di confine che separa due mondi completamente differenti. La traduzione letterale è quindi “viottolo di mare” o, utilizzando un ligurismo, “crosa di mare”.
L’uso del dialetto esprime la genuinità della canzone, la radica in un certo territorio, in certi usi e costumi che altrimenti andrebbero descritti, ma che non avrebbero lo stesso sapore se “raccontati”. Disse il cantautore:
“Una volta individuati gli strumenti etnici che, in quella che qualcuno ha chiamato una piccola Odissea, volevano ricondurci all’atmosfera del Mediterraneo dal Bosforo a Gibilterra, era necessario adattare ai suoni che tali strumenti riproducevano, una lingua che ci scivolasse sopra, che evocasse attraverso fonemi cantati, indipendentemente quindi dalla loro immediata comprensibilità, le stesse atmosfere che gli strumenti evocavano. A noi la lingua più adatta è sembrato che fosse il genovese, con i suoi dittonghi, i suoi iati, la sua ricchezza di sostantivi e di aggettivi tronchi, che li puoi accorciare o allungare… quasi come il grido di un gabbiano.”
I protagonisti del brano sono i pescatori e vengono presentati come stranieri della terra ferma, ombre di cui non bisogna fidarsi. Arrivano da lontano, da un posto “dove la luna si mostra nuda”, perché in mare non ci sono alberi, case o colline che ostacolano la vista. La vita sui pescherecci è pericolosa, si rischia la vita. Il mare non è la terra ferma, in mare non c’è Dio, il mare li abbandona in balia degli elementi.
I pescatori sono condannati a viaggiare e le soste sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi. La taverna dell’Andrea, nella quale è possibile incontrare gente di Lugano poco raccomandabile e ragazze di buona famiglia. È quasi una dogana, una terra franca, un luogo dove marinai e gente della terra ferma si incontrano, e affiora una ostentata scherzosa diffidenza.
E dopo il vino, la stanchezza, la compagnia delle peggiori prostitute, il “padrone” li richiama al loro dovere. I pescatori sono legati al mare da una “corda marcia d’acqua e sale” che è quella che tiene la barca ormeggiata al porto, unico collegamento tra il mare e la terra ferma. La necessità o la loro scelta di vita, finirà per riportarli al mare, (al nostro destino) lungo una crêuza de ma.
Genova è una delle capitali storiche di questo Mare. Una città stretta fra le montagne e il mare, di cui aver paura e da cui essere irrimediabilmente attratti. Genova è Repubblica Marinara, è la voglia di scoprire una via a Occidente per il Giappone e battaglie feroci. Ma Genova è anche i carrugi e il porto, i vicoli che portano dai monti e dalla città fino al mare. Genova è le terrazze strappate alla montagna e coltivate a vite, i commerci e gli incontri e la conoscenza di terre lontane, abitate da persone diverse, che hanno in comune il Mediterraneo.
Questo viaggio che si legge tra le righe dell’album è un omaggio a quella che è stata la culla delle civiltà antiche: fenici, greci, romani, sardi, mori, catalogni, arabi, turchi, ebrei, egizi. Il Mare nel quale siamo nati e ci siamo evoluti e da cui nasce l’attuale melting pot di culture.
Qui il brano Crêuza de mä con sottotitoli in italiano:
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