“Questo non è un libro sull’Africa, ma su alcune persone che vi abitano, sui miei incontri con loro, sul tempo trascorso insieme. È un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo. È solo per semplificare, per pura comodità, che lo chiamiamo Africa. In realtà, a parte la sua denominazione geografica, l’Africa non esiste.”
Giunto in Ghana nel 1957, Kapuscinski segue sempre da vicino le vicende più spietate che la storia contemporanea dell’Africa ricordi. Dal colpo di Stato in Nigeria del 1966, alla presa del potere in Uganda da parte di Idi Amin, dalla guerra civile in Ruanda fra Hutu e Tutsi che portò sino al genocidio del 1994, dalle storie dei bambini soldato ai conflitti tribali, governi fantoccio ribaltati da eserciti assetati di sangue e potere.
Il suo acuto senso di osservazione, rende il mosaico del libro sempre più interessante con lo scorrere della lettura. Una sensibilità che tocca le sponde più insondabili dell’animo umano, raccontandoci con accuratezza la realtà che lo circonda.
Africa però non significa soltanto tragedia e orrore. Africa vuol dire anche emozione, magia ed ancestrale bellezza, quella più vera e naturale. Questo netto contrasto deriva da un ambiente ostile che non permette quasi la possibilità di sbagliare perché si respira nell’aria una perenne lotta fra la vita e la morte e forse è proprio questa sottile linea d’ombra, questa pesantissima leggera labilità che permette di acuire fino all’estasi ciò che di meglio può offrirci questo mondo.
Un altro tra gli aspetti più interessanti che vengono approfonditi, è che non si può parlare di “cultura africana” o di “popolo africano”. Questo perché si tratta in realtà di una terra vastissima, abitata da popoli con un passato differente. Pertanto spesso non riconoscono l’unità territoriale o sociale, ma vivono unicamente come membri del loro clan, che guida le dinamiche di tutta la vita dell’individuo.
Come si può, per esempio, semplificare il termine “africani”, quando questo riunisce il nomade somalo, che si sposta nel deserto con i suoi cammelli alla ricerca di acqua, e un mercante di Kumasi, che invece passa le sue giornate a vendere la sua merce lungo la strada? All’interno del clan, inoltre, i membri sviluppano un particolare senso di unione, di condivisione, di impossibilità di vivere in assenza di una comunità. Di conseguenza, viaggiando da una città all’altra, da un villaggio ad un altro, l’autore entra in contatto e ci spiega le dinamiche uniche e caratterizzanti di ogni piccola o grande società che incontra.
Ebano ci invita ad approfondire le vicende storiche di molti stati africani che conosciamo per nome, ma spesso non sappiamo collocare sulla cartina. Un libro che è stato definito una delle migliori analisi storico antropologiche dell’Africa, di quell’’Africa che è un coacervo delle più svariate e diverse situazioni. Un’Africa la cui Storia non conosce documenti, scritture, libri, ma che è stata tramandata di generazione in generazione solo con il racconto orale che ha continuato di padre in figlio modificandosi, trasformandosi e anche abbellendosi.
Corposo, denso, approfondito e mai noioso e dispersivo, Ebano è frutto di una mente “europea” schiusa e disponibile di fronte alle paventate tenebre subshariane. Un reporter capace di impressionare con una prosa vivida e nel contempo semplice il lettore spesso e volentieri surclassato da luoghi comuni, leggende metropolitane, storielle da cattiva antologia e favolette di massa.
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Animi nomadi al servizio di menti curiose.
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