“Non bastano tutti cammelli del deserto per comprarti un amico”.
Con questa frase che già in sé rivela il significato e l’essenza stessa del film, si apre Marrakech Express, il primo lungometraggio della quadrilogia della fuga di Gabriele Salvatores.
Un film diventato cult perché divertente, avventuroso e commovente. Ma anche perché, proprio dalle sabbie e dalle strade marocchine, Gabriele Salvatores comincia il suo famoso ciclo del viaggio che ci porterà nell’Italia minore di “Turnè,” nella Grecia da favola di “Mediterraneo” e nel Messico alternativo di “Puerto Escondido”.
Milano, fine anni ’80. Marco è un giovane architetto che una sera qualunque riceve la visita inaspettata di una ragazza spagnola di nome Teresa. Quest’ultima afferma di essere la fidanzata di Rudy, suo storico amico che è stato arrestato per possesso illecito di stupefacenti mentre si trovava in Marocco. Teresa ha bisogno di 30 milioni di lire per salvare il compagno dalla galera. Così, Marco raduna gli amici del suo storico gruppo – Ponchia, Cedro e Paolino – per partire alla volta di Marrakech e aiutare Rudy.
Tuttavia il viaggio verso il Marocco, oltre a riserbare ai quattro uomini numerosi imprevisti e cocenti delusioni, segnerà un profondo cambiamento nelle loro vite rendendoli protagonisti di amare quanto dolci consapevolezze sulla vita.
Il tema musicale più ricorrente non poteva che essere “Caro amico ti scrivo” di Lucio Dalla, che accompagna le scene più sentimentali. La colonna sonora diventa così parte integrante del film, comunque denso di allegorie, stereotipi e simbolismi. Il viaggio inteso come evasione, come fuga dalla quotidianità, lo scatto del gettone di una cabina telefonica che scandisce l’inizio di quest’evasione, uno sguardo malinconico ad una foto di gruppo, che ricorda quanto era bello quando erano tutti insieme.
Per i film di Salvatores, Roberto Ciotti scrisse due indimenticabili colonne sonore e secondo il critico musicale Roberto Bianchi “Aveva creato una sorta di italian blues. Limpido, armonico, pulito. Piacevolissimo. Partiva sì dalle radici del blues e si abbeverava di continuo alle fonti della tradizione, ma si allontanava sia dal blues rurale del Delta del Mississipi come dal blues elettrico e urbano di Chicago. Il suo era un blues mediterraneo, solare, coi colori e i sapori del Sud e talora gli echi della melodia italiana. Il suono della sua chitarra era caldo e avvolgente, gli assoli rotondi, più lenti, d’atmosfera, che impetuosi. Più vicino a Pino Daniele, se proprio vogliamo fare un esempio, che ad Eric-manolenta Clapton”.
D’altronde il blu in inglese è proprio il colore che richiama la malinconia, la nostalgia, la tristezza. Chiamare la title track di Marrakech Express “No More Blue” per Roberto Ciotti significò il rispetto assoluto di quella dimensione ma anche la voglia di provare un viaggio nuovo, con nuove contaminazioni.
È un viaggio, questo, che si compie sotto il nome delle intense emozioni permesse dal libero vagare e nella riscoperta del valore dell’amicizia. Tra parentesi comiche e l’incontro con popolazioni “altre”, tra paesaggi naturali incredibili come l’Atlante e le dune del deserto e con musiche che sembrano nate solo per accompagnarli.
A fare da sfondo al loro viaggio ci pensano paesaggi di una bellezza sopraffina, immortalati dalla mano abile di un Salvatores ispiratissimo e da una fotografia chiara e precisa. Oltre ai bellissimi panorami marocchini, Marrakech Express regala una risata dietro l’altra grazie all’impiego di una comicità spontanea e scevra da qualsiasi impostazione recitativa che si integra benissimo con la spontaneità di Marrakech.
Marrakech Express è probabilmente il road movie più significativo del cinema italiano. La storia di un viaggio compiuto da quattro amici alla volta di una destinazione dubbia e difficile dalla quale riscopriranno il piacere di un’amicizia ritrovata.
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