Home » Sette Anni in Tibet: la storia di Heinrich Harrer
Nel 1997 il regista francese Jean-Jacques Annaud firma il film Sette anni in Tibet, con Brad Pitt e David Thewlis che racconta la storia dell’alpinista austriaco Heinrich Harrer. Seppur raccontate con qualche libertà, come avviene di solito nei film biografici.
Le esperienze dell’alpinista avvengono nella regione proibita agli occidentali tra il 1944 e il 1951. Lì, divenne precettore e amico del quattordicesimo Dalai Lama e per la cui causa spese gran parte della sua lunga vita, terminata nel 2006.
Heinrich Harrer è un alpinista austriaco, arrogante ed egocentrico. La sua sete di fama lo porta ad abbandonare la moglie incinta per unirsi a una spedizione del 1939 per scalare Nanga Parbat, una delle vette più alte dell’Himalaya. I suoi sogni di gloria vengono infranti quando la squadra fallisce nella sua missione. Nel frattempo, è scoppiata la seconda guerra mondiale in Europa. Harrer – cittadino di uno stato nemico in una colonia britannica – viene fatto prigioniero in India. Fugge e con il compagno di arrampicata Peter Aufschnaiter trova rifugio in un santuario in Tibet.
I due occidentali lottano per adattarsi alla vita nella città santa di Lhasa. Peter incontra e sposa Pema (Lhakpa Tsamchoe), una bellissima sarta tibetana. Heinrich, che sente la mancanza di sua moglie e desidera conoscere il figlio ancora non ha visto, trova affetto e serenità nell’amicizia con il giovane Dalai Lama. Al ragazzo, di appena 14 anni, insegna i modi occidentali e a sua volta da lui impara l’umiltà, la compassione e l’introspezione.
A distanza di 7 anni dal suo arrivo in Tibet, l’invasione dei soldati cinesi porta la guerra e il caos in quell’oasi di serenità. Heinrich sarà costretto a tornare a casa, ma sarà un individuo totalmente differente da quella che ero partito molti anni prima.
La storia dell’invasione Tibetana viene messa in scena all’occidentale. Da una parte il Tibet, terra paradisiaca senza peccato, dall’altra la Cina dipinta come il male assoluto. La semplificazione storica in questo caso funziona e riesce a fare da sfondo alla trasformazione interiore del protagonista.
Il Tibet fa da sfondo non soltanto attraverso l’affresco storico-culturale. Le inquadrature di Sette anni in Tibet percorrono lo spazio mostrandone l’ampiezza delle pianure e l’altezza delle montagne. Un paesaggio assoluto, arido e vuoto, ma che si slancia verso l’assoluto. L’anima umana si presenta sullo schermo attraverso queste inquadrature, un’anima vasta in cui l’uomo si sente perso. Heinrich Harrer si perde in questo paesaggio e, allo stesso tempo, si perde dentro se stesso. Solo il Tibet lo aiuterà a ritrovarsi.
Una storia di vita davvero incredibile quella dell’austriaco Heinrich Harrer, da lui immortalata nelle pagine di Sette anni nel Tibet edito nel lontano 1953.
Nella prefazione Harrer si scusa con i lettori per non possedere le doti di uno scrittore, ma il contenuto tramandato non lascia margine per critiche allo stile di scrittura.
La storia del giovane alpinista internato nel 1939 in un campo di prigionia britannico ai piedi dell’Himalaya è oramai nota a tanti a seguito della trasposizione cinematografica. Ma la lettura del diario di Harrer possiede il valore aggiunto di descrizioni vivide e accurate di paesaggi, consuetudini, usanze di un popolo dalle tradizioni millenarie. Uno spaccato del Tibet antecedente all’occupazione cinese estremamente esaustivo, colto con gli occhi ed il cuore di chi ha avuto la fortuna di viverci e di riuscire ad integrarsi ed interagire con la popolazione.
Nel libro Harrer scrive:
“Ovunque vivrò, avrò sempre nostalgia del Tibet. Spesso mi sembra di sentire ancora le strida delle oche selvatiche e delle gru e il battito delle loro ali mentre volano su Lhasa alla fredda e limpida luce della luna. Il mio desiderio profondo è che la mia storia possa creare comprensione per un popolo la cui volontà di vivere in pace e libertà ha ottenuto pochissima simpatia da parte di un mondo indifferente.”
Harrer raccontò la sua nuova visita in Tibet agli inizi degli anni Ottanta in “Ritorno al Tibet: il Tibet dopo l’occupazione cinese”, in cui espresse la sua disperazione nei confronti della distruzione perpetrata contro la cultura tibetana e il popolo pacifico per cui invocava comprensione e rispetto. Nel 2007 fu pubblicata postuma la sua autobiografia, “Beyond Seven Years in Tibet”. Tra le imprese di questo straordinario personaggio ci sono oltre 40 documentari e il Museo a lui intitolato, a Huttenberg in Austria, dedicato al Tibet. Nel 2002, dalle mani del suo amico di sempre, il Dalai Lama, Harrer ha ricevuto il Light of Truth Award per quanto fatto per diffondere la consapevolezza delle condizioni del Tibet, lo stesso premio che nel 1996 e nel 1998 era stato assegnato a Martin Scorsese e Richard Gere.
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